Biografia

Di una straordinaria originalità e forza espressiva Mario Comensoli è uno dei più importanti esponenti del realismo pittorico. I temi della sua narrazione hanno sempre radici nella realtà sociale e la sua percezione dell’essere umano si traduce in un linguaggio che mira sempre all’essenzialità, facendo giustizia delle ambiguità della cultura postmoderna. La sua caratteristica dominante è quella di mantenersi asincrono rispetto ai tempi e di caratterizzarsi attraverso un realismo altro rispetto all’accezione tradizionale di realismo. Ed è proprio questa alterità, questa noncuranza di fronte alla tirannia della novità, a fare di Comensoli un soggetto unico nel vasto panorama dell’arte contemporanea.

1922

Mario Comensoli nasce a Lugano il 15 aprile. Dopo la perdita della madre quello stesso anno l’orfanello viene affidato dal padre Albino, un tappezziere d’origine toscana, all’Istituto La Misericordia. Due sorelle, Palma e Giovanna Ghiraldi, che aiutano le suore nell’orfanotrofio e vivono nel quartiere operaio di Molino Nuovo, decidono di allevarlo e diventeranno per Comensoli «le mie due mamme».

Anni 40

Comensoli frequenta gli atelier di Carlo Cotti e Giuseppe Foglia che scoprono il suo talento e lo incoraggiano sulle vie della pittura. Nel 1943 ottiene una borsa di studio dalla Fondazione Torricelli che gli permette di frequentare corsi alla Scuola di Arti Decorative di Zurigo dove si stabilisce definitivamente nel 1944. Alla fine della seconda guerra mondiale arricchisce la sua esperienza artistica con frequenti e prolungati soggiorni a Parigi dove è influenzato dall’universo cubista di Picasso e Fernand Léger.

1950 – 1961
I lavoratori in blu

Mario Comensoli racconta l’esistenza degli operai immigrati dal sud che svolgono in Svizzera i lavori più umili e faticosi. Nasce così il ciclo dei «lavoratori in blu», così chiamati per i loro abiti di lavoro. Li rappresenta con un’intensa partecipazione che si spiega soltanto riandando agli anni della sua difficile infanzia. 1962 espone i suoi dipinti a Roma , alla galleria San Luca, dove ha uno scontro dialettico sui valori del realismo con il pittore Renato Guttuso. Per il suo impegno a favore degli emigranti Comensoli riceverà a Zurigo con Max Frisch e il regista Alexander J. Seiler nel 1970 un premio della Comunità italiana in Svizzera.

1962 – 1966
L’alienazione borghese.

Negli anni 60 si appropria di temi antitetici a quelli degli immigrati e nei suoi dipinti evidenzia l’alienazione della ricca borghesia zurighese.

1968 – 1973
I ribelli

Il maggio 68 non lascia insensibile Comensoli che si lancia in un controcanto allegro e irriverente dei miti intellettuali in circolazione. Raggiunge il risultato attraverso una pittura cromaticamente forte, quasi cartellonistica, tributaria degli insegnamenti della Pop Art.

1974-1977
La Cappella delle ineffabili contraddizioni

La gallerista zurighese Jamileh Weber gli dà carta bianca e Comensoli crea una sorta di cappella tridimensionale i cui temi sono l’emancipazione femminile, la liberazione sessuale, e il suo rovescio nell’indomito machismo che vorrebbe ridistribuire i ruoli a suo modo. Da Zurigo, grazie a Pro Helvetia, la cappella emigra a Parigi, alla Porte de la Suisse, dove viene fedelmente ricostruita.

1978-1980
Cinema e Discovirus

Nel 1978 in occasione del Festival del Cinema, Mario Comensoli porta a Locarno nel mitico Grand Hotel una serie di dipinti dedicata ai ragazzi in livrea che nelle buie sale dove si proiettano i film vendevano sigarette e popcorn. Sono loro i veri protagonisti di una recita a soggetto che si sovrappone alla sacralità del grande schermo e ai suoi divi di celluloide. Di quegli anni anche il ciclo «Discovirus» che narra, tra sciabolate di luci al neon, la voglia di riscatto dei ragazzi della seconda generazione che si ispirano a John Travolta nelle discoteche di Zurigo-Oerlikon.

1981-1989
La scoperta dei «no future»

All’inizio degli anni 80 Zurigo vive la rivolta dei «no future», dei giovani che danno vita nelle piazze a proteste contro il conformismo imperante nella politica e nella cultura, chiedendo «zone franche» autogestite nella città del business. Comensoli non rimane insensibile di fronte a questi ragazzi che tengono a distanza i dogmi ideologici che presto franeranno con il Muro di Berlino. I «punk» entrano così nella sua pittura che ha ormai cittadinanza in numerosi musei svizzeri, a San Gallo, Coira, Glarona, Locarno, Aarau e, nel più ambito tempio dell’arte, il Kunsthaus di Zurigo, nel 1989.

1990 – 1993
Gli ultimi anni

Dopo il trionfo del Kunsthaus, l’ottimismo di Comensoli lascia il posto a una greve amarezza esistenziale. I giovani «portatori di speranza» si bucano nei parchi della droga di Platzspitz o del Letten, e Comensoli li rappresenta ormai come figure larvali, diafane che si muovono su uno sfondo grigio. I suoi ultimi quadri sono una sorta di «memento mori» prima del distacco. Il 2 giugno del 1993 Mario Comensoli muore per un infarto cardiaco nel suo atelier della Rousseaustrasse.

1994
La Fondazione Mario e Hélène Comensoli

La moglie Hélène scompare anch’essa, meno di un anno dopo, l’8 febbraio 1994, dopo avere ordinato e archiviato la produzione del marito. Secondo la sua volontà tutte le opere in suo possesso sono state riunite sotto l’egida della Fondazione Mario e Hélène Comensoli, con sede a Zurigo.